17. Agosto 2025 · Commenti disabilitati su Come lavare vestiti di velluto · Categorie:Abbigliamento

Il velluto, con la sua superficie morbida e il suo aspetto elegante, è tra i tessuti più amati ma anche più delicati da trattare. Prendersene cura richiede attenzione e piccoli accorgimenti per preservarne la lucentezza e la morbidezza nel tempo. In questa guida scoprirai come lavare i capi in velluto, sia a mano che in lavatrice, evitando i comuni errori che possono rovinarli. Seguendo questi semplici consigli, potrai mantenere i tuoi vestiti di velluto belli e confortevoli, lavaggio dopo lavaggio.

Come lavare vestiti di velluto

Il velluto è un tessuto pregiato e affascinante, apprezzato per la sua consistenza ricca e l’aspetto elegante. Tuttavia, proprio per la sua delicatezza, richiede un’attenzione particolare in fase di lavaggio. La prima regola fondamentale è sempre consultare l’etichetta del capo, poiché alcuni velluti, specialmente quelli in seta o con fibre miste, potrebbero essere adatti esclusivamente al lavaggio a secco. Se l’etichetta lo consente, si può procedere con un lavaggio delicato a mano.

Per lavare a mano un capo in velluto, è essenziale utilizzare acqua fredda o appena tiepida e un detersivo molto delicato, preferibilmente specifico per tessuti fini. Il capo non va mai strofinato né torcigliato, perché questo potrebbe schiacciare il pelo caratteristico del velluto e comprometterne l’aspetto. È meglio immergere il capo nell’acqua e muoverlo delicatamente, lasciandolo in ammollo solo per pochi minuti. Dopo il lavaggio, bisogna sciacquare accuratamente il tessuto, sempre con acqua fredda, per eliminare ogni residuo di detersivo.

Un passaggio cruciale è l’asciugatura. Il velluto non va mai strizzato: per eliminare l’acqua in eccesso, si consiglia di adagiare il capo su un asciugamano pulito, arrotolarlo delicatamente e premere leggermente, così da assorbire l’umidità senza rovinare la fibra. L’asciugatura deve avvenire all’aria, in piano, lontano da fonti di calore e dalla luce diretta del sole, che potrebbe scolorire il tessuto. Appendere il capo può deformarlo, quindi è preferibile stenderlo in orizzontale su una superficie piana, assicurandosi che mantenga la sua forma originale.

Il velluto non ama il calore diretto, perciò è sconsigliato l’uso dell’asciugatrice. Anche la stiratura deve essere affrontata con cautela: se proprio necessaria, è meglio farlo al rovescio, utilizzando il vapore e senza premere il ferro direttamente sulla superficie, per preservare il tipico effetto morbido e lucente. In alternativa, si può semplicemente appendere il capo in bagno durante una doccia calda, sfruttando il vapore per distendere eventuali pieghe.

In presenza di macchie, è importante intervenire tempestivamente, tamponando delicatamente senza strofinare, utilizzando solo un panno pulito e umido. Evitare prodotti aggressivi o smacchiatori non specifici per il velluto, poiché potrebbero danneggiare irrimediabilmente il tessuto.

La cura nel lavaggio e nell’asciugatura del velluto non solo garantisce una lunga vita ai capi, ma ne preserva anche la bellezza e la morbidezza. Per i capi più delicati, particolarmente preziosi o vintage, rivolgersi a una lavanderia professionale rimane comunque la scelta più sicura. In ogni caso, trattare il velluto con rispetto e pazienza è la chiave per mantenerlo sempre perfetto nel tempo.

Altre Cose da Sapere

Domanda: Posso lavare i vestiti di velluto in lavatrice?
Risposta: In generale è meglio evitare il lavaggio in lavatrice per i capi in velluto, poiché il movimento meccanico e la centrifuga possono rovinare la trama e schiacciare il velluto. Tuttavia, alcuni tipi di velluto sintetico possono essere lavati in lavatrice con un ciclo delicato e acqua fredda, sempre girando il capo al rovescio e inserendolo in una federa o sacchetto per proteggerlo. Consulta sempre l’etichetta del capo prima di procedere.

Domanda: È meglio lavare il velluto a mano?
Risposta: Sì, il lavaggio a mano è la soluzione più sicura per i capi in velluto, specialmente se sono delicati o pregiati. Utilizza acqua fredda o tiepida e un detersivo delicato. Immergi il capo senza strofinare e muovilo delicatamente nell’acqua. Sciacqua accuratamente e non strizzare mai il velluto: tampona l’eccesso d’acqua con un asciugamano.

Domanda: Come posso asciugare il velluto dopo il lavaggio?
Risposta: Non usare l’asciugatrice, perché il calore e la rotazione possono danneggiare il tessuto. Dopo aver tamponato l’acqua in eccesso, stendi il capo di velluto su una superficie piana coperta da un asciugamano asciutto, rimodellandolo con le mani. Lascialo asciugare all’aria, lontano da fonti di calore dirette e dalla luce del sole.

Domanda: Come si può togliere una macchia da un capo di velluto?
Risposta: Agisci subito tamponando la macchia con un panno pulito e asciutto, senza strofinare. Per le macchie ostinate, usa una piccola quantità di detersivo delicato diluito in acqua, applicandolo con un panno morbido. Sciacqua con attenzione e lascia asciugare. Evita sempre di strofinare, per non rovinare il pelo del velluto.

Domanda: È possibile stirare i vestiti di velluto?
Risposta: Stirare direttamente il velluto può schiacciare il pelo e lasciare segni permanenti. Se necessario, usa il vapore: appendi il capo e passa il ferro a vapore a una certa distanza, oppure utilizza uno steamer. Se devi stirare, poni il capo a rovescio su un panno morbido e stira senza premere troppo.

Domanda: Ci sono prodotti specifici da usare per lavare il velluto?
Risposta: Sì, è consigliabile usare detersivi liquidi delicati, adatti ai tessuti delicati. Evita candeggina, ammorbidenti e prodotti aggressivi che possano rovinare la fibra e il colore del velluto.

Domanda: Posso portare il velluto in lavanderia?
Risposta: Sì, la pulizia a secco presso una lavanderia professionale è spesso la scelta migliore per i capi in velluto di valore, vintage o molto delicati. Avvisa sempre il personale che si tratta di velluto, così potranno usare le tecniche più appropriate.

Domanda: Come posso conservare correttamente i capi di velluto?
Risposta: Conserva i vestiti di velluto appesi su grucce imbottite per evitare pieghe e segni. Lascia spazio tra un capo e l’altro nell’armadio, così che il tessuto possa “respirare”. Proteggili dalla polvere con una custodia in tessuto traspirante, non in plastica.

14. Agosto 2025 · Commenti disabilitati su Come lavare vestiti di viscosa · Categorie:Abbigliamento

La viscosa è un tessuto apprezzato per la sua morbidezza, la lucentezza delicata e la piacevole sensazione al tatto, ma richiede attenzioni particolari durante il lavaggio per mantenere intatte le sue qualità. Conoscere i giusti accorgimenti per prendersi cura dei capi in viscosa è fondamentale per evitare spiacevoli sorprese come restringimenti, deformazioni o perdita di brillantezza. In questa guida troverai consigli pratici e semplici da seguire per lavare i tuoi vestiti di viscosa in modo sicuro, preservandone bellezza e durata nel tempo.

Come lavare vestiti di viscosa

La viscosa, un tessuto noto per la sua morbidezza e la piacevolezza al tatto, deriva dalla cellulosa e si caratterizza per una certa delicatezza, specialmente quando è bagnata. Per questo motivo, la cura durante il lavaggio è fondamentale per preservarne la qualità, la forma e la brillantezza dei colori. La prima cosa da considerare è la temperatura dell’acqua: la viscosa non tollera bene il calore, poiché rischia di restringersi o deformarsi. È quindi consigliabile utilizzare acqua fredda o al massimo tiepida, evitando assolutamente l’acqua calda.

Il detersivo gioca un ruolo importante. È preferibile scegliere un prodotto delicato, specifico per capi fini, e usarne una quantità moderata. L’eccesso di detersivo può essere difficile da risciacquare e lasciare residui che compromettono la morbidezza del tessuto. La viscosa dovrebbe essere lavata a mano, immergendo il capo in una bacinella e muovendolo delicatamente, senza strofinare o torcere il tessuto. Se si utilizza la lavatrice, è indispensabile selezionare un programma per capi delicati e inserire i vestiti in una apposita sacca protettiva. Anche in questo caso, la centrifuga va evitata o impostata sulla velocità minima, poiché la viscosa, quando è bagnata, si indebolisce e può danneggiarsi facilmente.

Dopo il lavaggio, è importante non strizzare il capo, ma piuttosto tamponarlo con un asciugamano per eliminare l’acqua in eccesso. L’asciugatura deve avvenire all’aria, stendendo il capo in piano su una superficie pulita, lontano dalla luce diretta del sole e da fonti di calore come termosifoni o asciugatrici. Appendere i capi di viscosa quando sono bagnati può causare deformazioni, quindi è meglio evitare questa pratica. Una volta asciutto, se il tessuto presenta pieghe, è possibile stirarlo a bassa temperatura, preferibilmente con il capo al rovescio e interponendo un panno tra il ferro e il tessuto, per proteggerlo dal calore diretto.

Seguendo questi piccoli accorgimenti, i capi in viscosa manterranno a lungo la loro bellezza originale, risultando sempre morbidi, luminosi e confortevoli da indossare. La delicatezza di questa fibra impone solo un po’ di attenzione in più, ma il risultato ripagherà ampiamente la cura dedicata.

Altre Cose da Sapere

Domanda 1: Si possono lavare i vestiti di viscosa in lavatrice?
Sì, molti capi di viscosa possono essere lavati in lavatrice, ma è fondamentale controllare sempre l’etichetta del produttore. Se la lavatrice è consentita, scegli il ciclo delicato con acqua fredda o tiepida e utilizza un detersivo delicato. È consigliabile inserire i capi di viscosa in un sacchetto per il bucato per proteggerli.

Domanda 2: La viscosa si restringe con il lavaggio?
La viscosa può restringersi, soprattutto se esposta ad acqua calda o centrifughe troppo forti. Per evitare il restringimento, lavala sempre a basse temperature e non utilizzare l’asciugatrice. L’asciugatura all’aria su una superficie piana è preferibile.

Domanda 3: È meglio lavare la viscosa a mano o in lavatrice?
Il lavaggio a mano è generalmente più sicuro per la viscosa perché riduce il rischio di danni e restringimenti. Tuttavia, se il capo lo consente, anche la lavatrice va bene purché si usino programmi delicati. In entrambi i casi, evita di strofinare o torcere il tessuto.

Domanda 4: Che tipo di detersivo bisogna usare per la viscosa?
Si consiglia un detersivo delicato, preferibilmente liquido, per non stressare le fibre della viscosa. Evita prodotti troppo aggressivi o contenenti candeggina.

Domanda 5: Come si asciugano correttamente i capi di viscosa?
Non usare l’asciugatrice, perché il calore può deformare o restringere la viscosa. Dopo il lavaggio, tampona delicatamente l’acqua in eccesso con un asciugamano, poi stendi il capo in piano per evitare che si deformi. Non esporre direttamente alla luce solare.

Domanda 6: Si possono stirare i vestiti di viscosa?
Sì, è possibile stirare la viscosa, ma sempre a basse temperature e preferibilmente con il tessuto ancora leggermente umido. Usa un panno di cotone tra il ferro e la viscosa per proteggerla dal calore diretto.

Domanda 7: La viscosa si rovina facilmente?
La viscosa è un tessuto delicato e tende a rovinarsi se non trattato con cura. Evita lavaggi aggressivi, strizzature forti e stirature ad alta temperatura per mantenere intatta la qualità del capo.

Domanda 8: Cosa devo fare se la viscosa si è stropicciata molto?
Se il capo è molto stropicciato, puoi appenderlo in bagno mentre fai una doccia calda: il vapore aiuterà a distendere le fibre. In alternativa, usa il ferro da stiro a bassa temperatura con un panno protettivo.

Domanda 9: È possibile lavare la viscosa a secco?
Alcuni capi di viscosa richiedono il lavaggio a secco, soprattutto se sono molto delicati o hanno dettagli particolari. Leggi sempre l’etichetta e, in caso di dubbi, opta per la lavanderia professionale.

Domanda 10: Cosa fare se la viscosa scolorisce durante il lavaggio?
Per evitare che la viscosa scolorisca, lava sempre i capi separatamente, soprattutto al primo lavaggio, e usa acqua fredda. Se noti scolorimenti, evita l’esposizione al sole diretto durante l’asciugatura e preferisci detersivi delicati.

14. Dicembre 2021 · Commenti disabilitati su Jeans da Donna – Come Scegliere i Migliori · Categorie:Abbigliamento

I jeans sono un capo d’abbigliamento che nasce per la sua robustezza, ma che nella sua evoluzione ha seguito sempre più i percorsi della moda sino a diventare, in alcuni casi, elegante e ricercato. Leggete la nostra guida per scegliere la tipologia di jeans da donna più adatti alle vostre esigenze.

Origini

Il jeans è antico, risale infatti a tantissimi anni fa. Già nel Medioevo, ad esempio, esisteva la stoffa del jeans, che serviva più che altro per coprire le navi. Il cotone in questione era un tessuto molto resistente, principalmente di colore blu e arrivata da Nimes. Il jeans è nato dapprima come un pantalone da operaio, lo utilizzavano infatti nell’800 gli scaricatori di porto, nella città di Genova.

E’ solo a partire dal 1850 che s’iniziò a pensare al jeans come un capo d’abbigliamento diverso. I primi pantaloni-jeans furono prodotti a San Francisco e vennero indossati prima dai cercatori d’oro, poi da cowboy e poi dai contadini. Fu solo intorno al 1920 che il jeans viene pensato come un pantalone da indossare al di fuori del lavoro. Qualche anno più tardi, viene prodotto anche un altro tipo di pantalone a jeans, con un destinatario diverso, se vogliamo.

E’ l’anno infatti della nascita del jeans per la donna. Il jeans quindi diventa da quel momento in poi, il primo capo in assoluto, che può indossare indistintamente, sia l’uomo che la donna. Con il passare del tempo, il jeans diviene persino un capo elegante, e molte sono le case produttrici di jeans di griffe famose a livello internazionale. Da ricordare anche il periodo (negli anni ’50) del divieto di indossare il jeans negli ambienti scolastici, ma allo stesso tempo, il mondo dello spettacolo li usava tramite grandi divi come James Dean, giusto per citarne uno tra i più conosciuti. Negli anni ’60 il jeans diventa a tutti gli effetti il pantalone dei giovani, senza distinzione per i popoli e ceti sociali.

Il jeans un tempo era considerato solamente un capo d’abbigliamento sportivo, mentre oggi abbinarlo ad una giacca nera (ad esempio), diventa un completo elegante. Sempre più spesso, si vedono invitati a cerimonie e feste, vestite coi jeans. Molto elegante se indossati con un paio di scarpe con il tacco; casual se si scelgono scarpe da tennis.

Un capo quindi che si trasforma da solo, a seconda dei nostri gusti e delle nostre esigenze. Anche per quanto riguarda i colori del jeans, abbiamo ampia scelta, soprattutto sulle tonalità del blu, ma li possiamo trovare anche neri o marroni. Nel paragrafo successivo, vedremo quanti tipi di jeans esistono, i modelli sono praticamente gli stessi dei pantaloni, si differenziano per il tessuto appunto. Li possiamo scegliere lisci oppure con qualche ricamo, disegno, scritte, parti stracciate, con tasche, tasconi, senza tasche. Insomma, una grande varietà per fare la differenza.

Il jeans è uno dei capi che si vende molto in qualsiasi negozio, come vedremo più avanti, è indicato per tutti, uomo, donna e bambino. È sicuramente il capo più venduto rispetto agli altri tipi di pantaloni. Si può indossare per andare in ufficio, presentarsi ad una riunione di lavoro, ad una festa.

La diversità è rappresentata dalle scarpe che si abbinano, ma anche il fatto di accoppiarlo con una camicia piuttosto che con un maglione, cambia decisamente il risultato finale. Il jeans va scelto anche in base alle “forme” di chi lo indossa. I modelli a vita bassa, ma anche quelli super elasticizzati sono indicati a chi può permetterselo, a chi cioè, è magra. Per chi invece, ha qualche chilo di troppo, dovrebbe rivoltare la scelta del jeans verso quei modelli piuttosto larghi. Indossati con un paio di decoltèe, risalta la femminilità. Chi ha i fianchi stretti, può scegliere anche il jeans a vita alta, mentre quelli con il cavallo basso sono sconsigliate a chi è alta, magra e slanciata. Insomma, ad ognuno il suo jeans e la propria femminilità!

Tipologie

Quanti tipi di jeans esistono e quale possiamo scegliere ? Dipende in che contesto dovete indossarlo.

Classici
E’ il classico pantalone sportivo, che se abbinato con una maglia elegantina, può rendere il look davvero accattivante. Possono essere indossati sia con scarpe da tennis che con le decoltè.
A sigaretta
Di moda negli anni ’80, è tornato prepotentemente di moda, anche se, sono convinta, che oggi tutta sia moda e ognuno fa moda, (e scusate il bisticcio di parole), a modo suo. Si tratta comunque di pantaloni che partono “larghi” in alto e che finiscono a sigaretta, ovvero terminano stretti in fondo.
A zampa d’elefante
Al contrario dei pantaloni sopra descritti, questi in oggetti, hanno la forma di zampa d’elefante, la cui misura della “zampa” può variare. Partono in ogni caso giusti alla vita, all’altezza delle ginocchia si restringono e terminano la loro corsa a zampa, quindi larghi, fino a toccare anche il pavimento.
A vita bassa
I jeans a vita bassa sono quei pantaloni che lasciano scoperto l’ombelico, e sono molto di moda, soprattutto tra le giovani donne. Solo nello Stato della Lousiana, sono stati messi al bando, ovvero sono considerati illegali. Questo tipo di jeans ( o pantalone), oltre a tenere scoperta mezza pancia, lascia intravedere il tanga o il perizoma che sia. Insomma, il capo dello Stato, ha decretato una nuova legge, contro l’indecenza di queste giovani che vanno contro il buon costume.
A vita alta
Si tratta dei classici pantaloni da “signora” che al contrario dei precedenti tengono coperto l’ombelico.
A sette ottavi
Pantaloni che si differenziano dagli altri per la lunghezza. Questi arrivano appunto ai tre quarti, all’altezza più o meno tra la caviglia e le ginocchia.
A tre quarti
Si tratta di pantaloni che sono ancora più corti dei tre quarti, e arrivano appena sotto il ginocchio.
A salopette
Lunga o corta si tratta di un pantalone con pettorina, denominata appunto salopette.
Queste sono le principali tipologie dei pantaloni da donna, ma i modelli sono dei più svariati. Con pences o senza, con lo spacchetto in fondo, completi di cintura, con cerniera o con bottoni, con tasche, senza tasche o ancora con tasche finte.

Come scegliere

I jeans da donna sono indubbiamente uno dei capi d’abbigliamento più diffusi. Sono presenti infiniti modelli e marche ed è pertanto necessario effettuare una selezione per identificare il modello adatto al proprio corpo. Leggete la nostra guida all’acquisto per scegliere il modello più adatto a voi.

Corporatura longilinea
Questo tipo di corpi non ha problemi nell’indossare qualsiasi modello di jeans. Si consiglia comunque un jeans con una leggera svasatura alla base, oppure un modello a vita bassa, con una leggera altezza maggiore nella parte posteriore. Tale corporatura permette anche il jeans attillato, per risaltare le forme.
Corporatura formosa
A chi possiede curve generose, è consigliabile un jeans dritto dai fianchi al ginocchio, che poi si allarga in fondo; chi invece ama gli stivali, può acquistare i jeans da stivale con un’ampia svasatura alla base.
Corporatura atletica
Chi possiede questa corporatura, ha solitamente fianchi stretti e gambe atletiche. E’ possibile valorizzare il proprio corpo, portando jeans a vita bassa con cintura sagomata, oppure un bel modello che si allarga in fondo, con una svasatura elegante. Non si consigliano i vecchi scampanati, che conferirebbero un’aria “retrò” poco adatta. Molto indicati sono invece i jeans a sigaretta, che accentuano le forme ed esaltano i punti di forza della propria corporatura.
Corporatura abbondante
Le persone che possiedono una corporatura abbondante devono valutare alcuni elementi per la scelta del jeans. Innanzitutto esso non deve essere troppo aderente e deve possedere una certa elasticità; inoltre si valuti che una svasatura in fondo equilibra l’aspetto di una corporatura abbondante (si pensi ai modelli “bootcut”), e un colore scuro aiuta a conferire un effetto snellente. In base a queste considerazioni, sono particolarmente indicati i Jeans Gap, Levi’s e Old Navy, che, utilizzando il materiale spandex, consentono un estremo adattamento alla figura.

Dove acquistare

Se volete acquistare un jeans, sono molti i negozi dove potete rivolgervi. Per un jeans che potete anche indossare con una giacca elegante, vanno scelti i negozi del centro città e di un certo tipo. Un jeans lo potete comprare a qualsiasi prezzo, a partire persino da 5 euro, quelli soprattutto di produzione cinese. Non sono tuttavia da sottovalutare, hanno spesso dei bei modelli, disegnati molto bene e fanno la loro “scena”. Questi tipi di negozi sono le mete giusto se volete acquistare un paio di pantaloni informali.

Un occhio di rispetto anche al mercato bisettimanale della vostra città. Ci sono banchi che vendono abbigliamento discreto a prezzi abbordabili. Date un’occhiata soprattutto ai banchetti ben ordinati e sistemati bene, come se fosse davvero un negozio all’aperto, e non uno spazio da “discarica” dove pantaloni e quant’altro sono lasciati tutti spiegati e disordinati.

Ovviamente, si può fare una visita anche nei centri commerciali. Oltre ai tanti negozi presenti, all’interno dell’ipermercato, nel reparto abbigliamento, troverete sicuramente il jeans che cercate. Esistono poi gli outlet dove negozi di abbigliamento li fanno da padrone, o ancora i grandi magazzini dedicati solo a questo genere di articolo. Non vi piace acquistare sulla “terra”? Niente paura, anche sul web ci sono negozi on line di questo genere. Tante vetrine e tanto l’imbarazzo della scelta.

Unico neo: dovrete fare i conti con i cambi di merce. E’ vero, che quasi tutte le ditte consentono il cambio di taglia, ma in questo caso ci sono di mezzo le spese di spedizione. Meglio ordinare la taglia esatta, consultando la tabella con tutti i riferimenti per scegliere quella giusta. Questo perchè come sapete, può capitare, tra una ditta e l’altra ci sia differenza di misure. In alcuni casi, è possibile farsi spedire a casa il catalogo cartaceo, ma se siete amanti del virtuale, potete sfogliare il catalogo on line, e ordinare subito tramite mail. Dopo pochi giorni, riceverete direttamente a casa il vostro ordine.

14. Novembre 2021 · Commenti disabilitati su Kimono – Come Sceglierlo e Come si Indossa · Categorie:Abbigliamento

Il kimono è l’indumento tradizionale del Giappone, ne esistono modelli femminili e maschili. La sua storia affonda nelle radici della cultura del sol levante. Il termine kimono viene utilizzato per indicare un indumento tradizionale giapponese, costituito da una lunga tunica incrociata dalle ampie maniche e legata da una fascia in vita. Caratteristica estremamente particolare di tale veste è quella per la quale il lembo sinistro viene sempre posto al di sopra di quello destro in tutte le occasioni tranne che ai funerali, ove avviene l’inverso a guisa di simbolo.

Origini

Il sostantivo kimono (o, italianizzato, chimono) è stato sottoposto ad una notevole evoluzione. Basti pensare che, in origine, esso veniva impiegato per indicare in senso generico ogni tipo di abito. Solamente in una fase successiva il suo significato si è evoluto, arrivando ad indicare la lunga tunica di cui sopra, indossata da persone di ogni età e sesso, sebbene a tal riguardo sia interessante richiamare all’attenzione la figura del furisode, ossia un particolare tipo di kimono indossato dalle donne nubili avente lo scopo di palesare, nell’ambito del Seijin shiki (la cerimonia che segna il passaggio alla vita adulta), la disponibilità della donna a contrarre matrimonio.

Eccettuando le primissime fasi, influenzate prevalentemente dalle tradizioni del popolo cinese degli Han nel IV secolo, la storia del kimono è un po’ quella delle numerose dinastie giapponesi. Dall’VIII secolo in poi, infatti, il costume divenne popolare anche in Giappone con alterne fortune:

Tra l’VIII ed il XII secolo si compì l’evoluzione maggiore del kimono, che divenne enormemente simile a quello attuale, seppur ricoperto dal mo, una sorta di ampio grembiule;
I secoli tra il XIV ed il XVI, invece, portarono alla ribalta il kosode, ancora considerato un capo di abbigliamento intimo più che di vestiario vero e proprio, ma comunque degno di menzione, in virtù dell’utilizzo di una cintura, poi non più abbandonato;
In ultima analisi, praticamente analoga rispetto a quella odierna è la conformazione che la veste tradizionale giapponese assunse durante il periodo Tokugawa, o periodo Edo, compreso tra il XVII ed il XIX secolo. In questo arco temporale, infatti, si assiste ad un allargamento delle maniche e all’inserimento di una varietà di nodi sempre più elaborati.
Come è fatto il kimono
Molto somigliante ad alcuni indumenti in voga in Cina nel corso della dinastia Tang, è una veste lunga fino alle caviglie, con grandi colletti e maniche lunghe e molto ampie: possono infatti raggiungere il mezzo metro se non addirittura arrivare a sfiorare terra (questo tipo di manica si chiama fuorisode) nel caso dei modelli indossati tradizionalmente dalle ragazze nubili. La veste viene invece avvolta attorno al corpo con la parte sinistra che va a coprire la parte destra, a meno che non si debba presenziare a un funerale, nel quale caso la disposizione dei lembi viene invertita.

Una grande cintura chiamata obi serve, infine, a fissare la veste al corpo. Esattamente come succede da noi, anche in Giappone ogni occasione, dall’incontro formale alla riunione di famiglia, vuole il suo kimono; ne esistono infatti di diversi tipi, anche se sostanzialmente la forma rimane invariata, soprattutto nel caso di quelli da uomo che sono caratterizzati anche da una gamma di colori molto sobri e poco appariscenti. Nei modelli da donna invece il grado di eleganza e di formalità viene definito dalla lunghezza delle maniche, dal tipo di stoffa utilizzata, dalle cromie degli accessori e dalla presenza o meno dei kamon, gli stemmi familiari.

Mentre i modelli maschili vengono creati in varie taglie, quelli da donna per tradizione sono sempre taglia unica, leggermente più lunghi dei modelli maschili per essere adattati al corpo con rimbocchi e piegature che permettono di adattare ampiezza e lunghezza; un kimono che secondo la tradizione deve arrivare alle caviglie nel caso dell’uomo ci arriva senza piegature, nel caso della donna può essere ripiegato sotto l’obi in una piegatura chiamata ohashori.

I modelli tradizionali sono ancora oggi realizzati come centinaia di anni fa, ossia ricavandoli da un tan, un unico rotolo di tessuto largo 35 cm e lungo 11,5 m. È questo il motivo per cui realizzarlo di taglie grandi risultava complicato e dispendioso, ad esempio per persone molto alte oppure quelle corpulente come potevano essere i lottatori di sumo, che infatti avevano bisogno di modelli realizzati ad hoc per le loro forme abbondanti.

Un kimono ‘finito’ quindi è un insieme di 4 larghe fette di tessuto, delle quali due vanno a coprire il corpo e due vengono utilizzate per le maniche, più due strisce un po’ più piccole che diventeranno il colletto e i risvolti frontali dell’abito. Questo particolare tipo di assemblaggio dei tessuti permetteva, soprattutto in passato, di scucirlo per lavare una a una le varie parti, cosa che ormai grazie alla modernizzazione sia dei tessuti che dei metodi di pulitura non è più necessaria. Mentre ancora oggi, come in passato, si usa imbastire gli orli di un kimono che non deve essere indossato per un lungo periodo per evitare antiestetiche piegature e per mantenere le diverse parti dell’abito correttamente allineate.

Spesso paragonabili a vere opere d’arte, questi abiti tradizionali sono ancora realizzati a mano con tessuti preziosi, anch’essi decorati a mano con motivi unici o con texture ripetute. Sono diversi, i modi di decorazione; uno dei più diffusi è senza dubbio lo yuzen, una tintura a base di pasta di riso che viene ‘ripetuta’ a intervalli regolari utilizzando la tecnica dello stencil o con una fustella. Ovviamente, con il passare del tempo, se la tecnica è rimasta pressoché identica, si sono invece evoluti i colori, gli stili, i tessuti e gli accessori, ad esempio l’obi. La tradizione vuole infatti che kimono e obi siano realizzati in seta, satinato o broccato, mentre i kimono dei nostri giorni sono realizzati anche con tessuti più economici e resistenti, ad esempio in cotone, poliestere o rayon. Nonostante questo però la seta è comunque considerata il tessuto d’elezione, soprattutto nelle occasioni informali, dove diventa praticamente d’obbligo. E se oggi sotto a un kimono solitamente si indossa una speciale sottoveste, nei secoli passati andava a coprire più e più strati di indumenti.

Kimono da donna

Indossare questo indumento non è impresa da poco, soprattutto per le donne, i cui kimono sono molto più elaborati di quelli maschili; basti pensare che il modello femminile è composto da un minimo di 12 componenti che vanno indossate in un ordine e con regole ben precise. Non per niente sono presenti ancora oggi figure professionali con tanto di licenza il cui compito è proprio quello di aiutare le donne a indossarli, sia nei parrucchieri che a domicilio. Queste ‘assistenti’ spesso aiutano anche le donne a scegliere quello giusto per l’occasione, che sia adeguato alla formalità dell’evento a cui presenziare, allo stato civile e all’età. Ecco alcuni esempi:

Kurotomesode
Risulta essere la veste ufficiale delle donne già sposate e spesso viene indossato ai matrimoni dalla futura suocera. Di colore rigorosamente nero e decorato solo nella parte inferiore, è caratterizzato dalla presenza di cinque stemmi di famiglia che vengono impressi davanti, dietro e sulle maniche.
H mongi
La traduzione letteraria dal giapponese è ‘abito da visita’; può essere indossato indifferentemente da donne sposate e non, solitamente in occasione di eventi particolarmente formali o, ai matrimoni, dalle amiche della sposa. È decorato anche sulla parte superiore delle spalle.
Edo komon
Il suo nome deriva dall’inconfondibile stile decorativo in cui raggruppamenti di tanti puntini finiscono per creare un disegno più grande, una tecnica tipico della classe dei samurai del periodo Edo. Il suo livello di formalità può essere considerato al pari di quello di un iromuji e, in caso sia decorato anche con stemmi familiari, può equivalere a un h?mongi e volendo anche a un tsukesage.
Yukata
Sfoderato e creato con tessuti non ‘nobili’ come la canapa, il lino o il cotone, è il più informale dei modelli, indossato generalmente in estate e in eventi all’aperto. Spesso sono anche dati agli ospiti delle strutture termali.
Tsukesage
Può essere visto indosso a donne nubili o sposate; non è molto decorato e solitamente i ricami e i disegni si trovano sotto la cintura e nelle maniche.
Iromuji
Lo può indossare qualsiasi donna e solitamente è destinato alla cerimonia del tè. In tinta unita e di qualsiasi colore escluso il nero, il bianco e l’avorio, è in seta tinta decorata in quello che da noi verrebbe definito uno stile jacquard, rigorosamente dello stesso colore dell’abito.
Furisode
La traduzione letteraria del termine è ‘maniche svolazzanti’; le sue maniche, molto lunghe, possono arrivare fino a un metro e oltre di lunghezza, e proprio in base a questa lunghezza, cambia anche il nome: kofurisode, con maniche di 75 cm, il chuburisode con maniche di 90 cm) e fino a 114 cm di manica per il l’burisode. Sono i kimono per le occasioni formali dedicate alle ragazze nubili, preziosi e riccamente decorati. Solitamente l’età limite per indossare un furisode è 25 anni, anche se ultimamente l’età in cui una donna va in sposa si sta spostando sempre più avanti. Questo modello viene anche indossato nelle celebrazioni di compimento della maggiore età e, in caso di matrimonio, dalle parenti nubili.
Irotomesode
Leggermente meno impegnativo del kurotomesode ma accomunato dal fatto di essere anch’esso di colore scuro (tranne il nero) e decorato solo nella ‘gonna’, viene indossato ai matrimoni dalle parenti più strette e può avere impressi tre o cinque stemmi familiari.
Komon
E’ caratterizzato da una decorazione che si ripete, come una texture, su tutto l’abito. È usato per le occasioni meno formali, ad esempio una passeggiata per strada o un invito a cena; in quest’ultimo caso andrebbe impreziosito da un obi elegante.

Complesso e prezioso, ogni modello è composto da diversi elementi. Ecco quelli del modello femminile:
Sode: la manica.
Sodeguchi: l’apertura della manica.
Sodetsuke: il foro del braccio.
Susomawashi: il fodero interno.
Doura: la fodera esteriore.
Eri: il colletto.
Fuki: l’orlo, spesso ricamato.
Furi: quella abbondante parte di manica che scende da sotto il braccio.
Maemigoro: la parte anteriore.
Miyatsukuchi: l’apertura che si trova sotto la manica.
Okumi: l’interno della parte anteriore.
Tamoto: il drappeggio della manica.
Tomoeri: la parte superiore del colletto.
Uraeri: la parte interna del colletto.
Ushiromigoro: la parte posteriore.

Kimono da uomo

Infinitamente meno complicati di quelli da donna, quelli maschili sono composti da un massimo di 5 componenti, escluse le calzature. Al giorno d’oggi, si differenziano sostanzialmente per la stoffa utilizzata e per il modello, anche se la tradizione vuole che siano di colori scuri come il nero, il blu, il verde e qualche volta anche il marrone. I tessuti solitamente non sono brillanti e la decorazione non è vistosa. Nelle versioni meno formali troviamo colori un po’ più accesi, ad esempio il blu, il verde e il viola e la possibile presenza di massimo tre stemmi, mentre quello dedicato alle grandi occasioni, è rigorosamente nero e con cinque stemmi sulle spalle, sulla schiena e sul petto. Questa sobrietà di base viene confermata anche negli accessori e nella biancheria, che sono generalmente di colore bianco.

Accessori
Kanzashi
Sono graziosi accessori per capelli, ad esempio forcine in pietra preziosa come la giada, pettinini intarsiati nel legno e coloratissimi fiori di seta.
Waraji
Sono calzature di corda utilizzate solitamente dagli appartenenti alla classe religiosa.
Z ri
Sono sandali unisex, assolutamente lisci o fittamente decorati, disponibili in diversi materiali tra cui la fibra, la pelle o in semplice tessuto.
Hakama
Assomiglia a quella una gonna-pantalone. Solitamente la usano gli uomini, anche se ultimamente l’uso si è esteso anche alle donne, e spesso viene utilizzata come componente delle uniformi delle arti marziali. L’hakama solitamente si presenta a pieghe ed è dotata di un himo, ossia lunghi drappi di tessuto che vanno ad avvolgersi attorno all’obi. In alcuni casi può presentare anche un’imbottitura o una parte rigida in corrispondenza della ‘seduta’. Non è un accessorio che viene solitamente utilizzato dalle donne nelle occasioni formali, mentre può diventare parte integrante di un kimono formale maschile.
Obi
Da noi verrebbe chiamata fusciacca, o semplicemente cintura. Viene indossata sia con il kimono che con la yukata, con diversi modi di portarlo e di fissarlo. Gli obi femminili solitamente sono più decorati.
Datejime
E’ una sciarpa quasi rigida da mettere sotto l’obi per tenerlo in posizione.
Geta
Sono sandali unisex che vengono indossati con lo yukata. Una versione di geta simile ma non uguale viene indossata dalle geishe.
Tabi
Sono calzini appositamente creati per poter essere indossati con i sandali e le infradito. In quest’ultimo caso, l’alluce è separato dalle altre dita.
Haori
Nato tra il quindicesimo e il diciassettesimo secolo, è una specie di soprabito che arriva fino a metà gamba, e che fino ai primi anni del novecento, fine dell’epoca Meiji, faceva parte dell’abbigliamento maschile. Successivamente è entrato a far parte anche della moda femminile, in una versione leggermente più lunga.
Hiyoku
Chiamatelo pure sottoveste, o sottokimono; oramai si indossa solamente ai matrimoni o ai grandi eventi.
Haori-himo
Risulta essere una corda decorata con piccole nappe che serve a stringere l’haori. Solitamente nelle occasioni formali il colore d’elezione è il bianco.
J nihitoe
Anticamente veniva indossato dalle dame di corte, oggi è una specie di cimelio della tradizione che viene sfoderato solo nelle occasioni davvero speciali quali un’incoronazione o un matrimonio imperiale. Visionabile nei musei, è un complicato abito composto da 12 strati.

Molto interessante.

14. Ottobre 2021 · Commenti disabilitati su Come Scegliere un Mantello · Categorie:Abbigliamento

l mantello è un indumento privo di maniche e possiede varie lunghezze; si allaccia intorno al collo, ricopre le spalle per proteggersi dal freddo, dalla pioggia, dal vento, e può essere dotato anche di cappuccio. Il suo nome deriva dal termine latino mantellum che significa velo.

Tabarro
Si tratta di un particolare tipo di mantello, che ha origini remote che ci riconducono fino alla toga di patrizi e senatori. Esso si è poi evoluto, entrando nel mondo medievale: i cavalieri lo indossavano per le investiture, così come i medici e i notabili, nella vita di tutti i giorni. Nel periodo rinascimentale rimane una peculiarità del mondo artigiano e contadino, ed appaiono spesso mantelli in lana sottoposta a follatura; spariscono invece questi capi nel mondo aristocratico e borghese.
Spostandoci al XIX secolo, sono in prevalenza i dandy ad indossarlo; nell’Italia fascista questi indumenti sono addirittura considerati come simboli di anarchia e vengono, per questo, proibiti e limitati. Ma essi sopravvivono fino agli anni ’50, ricomparendo soprattutto negli ambienti di montagna: si pensi a Giovannino Guareschi e alle sue opere, o ai film d’epoca di quel periodo.
Questa la storia del tabarro, che ha percorso molti secoli ed è arrivato fino a noi. Vediamone ora i principali elementi. Si tratta di un mantello a ruota da uomo, realizzato in panno scuro o nero. L’indumento è piuttosto pesante e grosso, possiede un unico punto di allacciatura sotto il mento, e viene di solito indossato spostando un’estremità sopra la spalla opposta ad essa, per chiudere maggiormente il mantello. Sono distinguibili due principali modelli: quello più classico, che arriva fino al polpaccio, e quello più corto utilizzato prima per andare a cavallo, e poi in bicicletta.

Kalasiris
Il nome di questo mantello, “kalasiris”, risale ad Erodoto ed una tipologia simile di abito viene ritrovata anche presso gli Assiri e i Babilonesi. Tuttavia il luogo di maggiore diffusione era l’Egitto, e il tempo di riferimento si aggira tra il 1580 a.C. e il 1090 a.C. Era un mantello simile ad una camicia, portato sia da donne che da uomini; appariva come una gonna fissata tramite una cinghia alla spalla , con o senza maniche, che potevano essere di vario genere. I movimenti con la kalasiris potevano agevolmente essere compiuti, nonostante fosse abbastanza stretta, tanto da sembrare essere realizzata con materiali elastici.

Burnus
Se pensiamo al burnus, non possiamo che proiettarci in Africa del Nord, e pensare ai tipici mantelli bianchi con cappucci di lana, portati dagli uomini. Analizziamo il nome che designa questo indumento. “Burnus” deriva dal latino “byrrus” (o “birrus”) che richiama propriamente ad un ampio mantello da portare sopra gli abiti. In Algeria e nelle regioni più orientali si utilizza appunto il termine “abernus” e “bernus”. Esistono però altri nomi che indicano lo stesso indumento, come “aselham”, “azennar”, “akhnif”, “akhidus”, diffusi soprattutto in Marocco. I dialetti arabi del Nordafrica chiamano questo mantello “aslham”. La caratteristica di questo indumento è quella di possedere una corta cucitura nella parte alta del davanti, e di non avere quindi necessità di essere fissato con spille o fibbie aggiuntive. Il cappuccio (“agelmum”, “agelmus”) spesso termina con un pompon (“ashur”, “tawtat”, “tawshkint”) e può essere in alcuni modelli molto grande ed ampio.

Frock coat
Per la prima volta questo tipo di mantello apparse nel 1816 circa, in ambito militare. Aveva un colletto militare prussiano, vicino al collo del mantello. Nei primi decenni del 1800 era utilizzato come abito informale, fino ad avere sempre più popolarità dopo il 1830. E’ un indumento da uomo, che presenta un foro centrale nella parte posteriore, scende fino alle ginocchia ed è dotato di ampie maniche. Presenta inoltre due risvolti (doppiopetto), con un restringimento in vita. Il nome “frock coat” è inglese, e significa in italiano tonaca cappotto.