Lo stivale Wellington è il classico calzare da pioggia, noto ai più color verde militare e abbinato a una canna da pesca. Con il tempo ha conquistato stilisti e icone della moda grazie a versioni colorate e fantasiose. Il nome deriva dal primo Duca di Wellington (diventato poi Primo Ministro del Regno Unito) e inventore di questa scarpa. Già dagli inizi del 900, visto lo stilista d’eccezione, i Wellington erano considerati alla moda e raffinati.
Impiegati in guerra e in pace, all’asciutto come sotto al diluvio, nei campi e nell’industria, hanno ispirato poesie, canzoni, commedie teatrali, balli, ma soprattutto stilisti e modelle.
Storia e caratteristiche
Sono impermeabili, composti in gomma o Pvc. Si usano per tradizione quando piove e in genere il tronco arriva sotto al ginocchio anche se ne esistono modelli al polpaccio. Non vengono solo indossati per “ballare sotto alla pioggia”, ma anche nel mondo industriale, con rinforzi di metallo nella punta del piede, nelle sale operatorie o nei laboratori chimici. E dire che sono nati per combattere. L’Armata Britannica usò gli stivali Wellington per la prima volta a Waterloo nel 1815. La storia narra infatti che fu lo stesso Duca di Wellington, comandante dell’Armata, a progettarli istruendo un calzolaio di fiducia, il signor Hoby di Saint James Street a Londra. Il materiale usato in principio era pelle di vitello e arrivava al polpaccio, il Duca diede istruzioni precise sul taglio basso del tacco, di 1 pollice (2,5 cm circa). Battaglia dopo battaglia, Wellington notò che i soldati si ferivano soprattutto al ginocchio e allora fece alzare la calzatura.
Vista la fama del Duca come eroe di guerra, molti gentiluomini inglesi ne vollero imitarne lo stile, partendo proprio dallo stivale. Piccola curiosità: Wellington è uno degli unici due Primi Ministri britannici che ha dato il suo nome a un capo d’abbigliamento, l’altro è Anthony Eden (suo il distintivo Homburg). Grazie all’invenzione da parte di Charles Goodyear della gomma vulcanizzata, Hiram Hutchinson, nel 1853 fondò un’azienda di scarpe a L’Aigle in Francia (poi diventata il marchio “Eagle”). Lì vennero creati i primi Wellington di gomma, arrivati fino ai giorni nostri. Si diffusero subito tra gli agricoltori di tutto il mondo che ancora lavoravano i campi con gli zoccoli. Durante la Prima Guerra Mondiale furono usati nei campi di battaglia sempre dall’esercito britannico.
In quel caso il produttore faceva di cognome Hunter e gli stivali ne presero il nome (detti anche Wellington Hunter). Si narra che durante la Grande Guerra ne furono prodotti 1.185.036 paia per soddisfare le esigenze dell’esercito anglosassone. Anche durante la Seconda Guerra Mondiale la produzione di Hunter fu notevole, soprattutto per le truppe destinate ai Paesi Bassi dove le trincee erano spesso allagate. Finita la guerra, i Wellington si diffusero tantissimo come stivali antipioggia adatti a uomini, donne e bambini. La suola si allargò e comparve la caratteristica punta tonda e spaziosa. Anche nelle industrie i Wellington fecero la loro comparsa ai piedi degli operai, spesso con la punta rinforzata di acciaio o, più avanti nel tempo, con poliuretano termoplastico, anche in seguito alle normative dell’antifortunistica. Il classico Wellington in gomma verde fu invece introdotto di cacciatori nel 1955 ed è presto diventato un simbolo per gli amanti della “vita in campagna” e dello stile country.
Modelli
Il modello è sempre quello da quasi due secoli, può al limite essere di pelle, di gomma, lucida o opaca, colorato e decorato in svariati modi, ma è sempre lui. Interessante però sapere che i Wellington non vengono chiamati come la capitale della Nuova Zelanda in tutto il mondo. In Australia sono i “gummies” o Blucher (nome del soldato neozelandese che combatté con il celebre Duca nella battaglia di Waterloo). Nella terra dei maori esiste anche una poesia di Henry Lawson dedicata a questo stivale-simbolo. In Canada e Stati Uniti vengono chiamati “Billy” e sono indossati, in versioni colortissime, dai giovani dei college in primavera, soprattutto negli stati del Nord America. Molto diffusa in Usa la versione a metà polpaccio tra i pescatori di gamberi.
E’ da notare che il modello più popolare negli States non è quello “verdone”, ma in versione nera con suola rossa (in particolare in Alaska). I Wellington sono diffusi anche in pelle e vengono quindi chiamati “Wellington Ranch o “Wellington’s west”. La punta molto bombata e il tacco basso, e cuciture non in rilievo, li differenziano dai classici stivali da cow boy. In Irlanda per tradizione sono i “topboots”, ma anche “Wellies” o semplicemente “Waterboots”. L a Nuova Zelanda è invece la patria adottiva di questi particolari stivali, soprattutto per le molte attività rurali dell’isola. In nome cambia in “Gumboot” e la città Taihape, nella nell’Isola del Nord, si è proclamata la capitale mondiale dei Wellington. Lì sono talmente diffusi che li usano anche i chirurghi nelle sale operatorie (versione total white) e ne esistono coloratissime varietà per i bambini. E’ stata composta persino una commedia teatrale del caratterista Fred Dagg che rende omaggio ai “Gumboot” (con tanto di canzone dedicata).
Nei paesi del Nord sono diffusissimi, in Scandinavia, per esempio, la Nokia prima di darsi alla telefonia mobile era una produttrice di Wellington. Negli Stati che componevano la ex Unione Sovietica sono arrivati invece nel 1920 e sono ormai gli stivali tradizionali, foderati, per quando arrivano i primi freddi. Anche in questi Paesi sono diventati un simbolo, introdotti da Stalin nelle fabbriche, più tradi, quando Nikita Krusciov prese il potere, furono da lui indicati come esempio di “stile socialista” del vestire (chissà cosa ne avrebbe pensato il Duca) tanto che tra il 1961 e il 1964 sparirono le calzature di pelle dai negozi e praticamente si potevano indossare solo Wellington o simili.
In Sud Africa, dove venivano usati nelle miniere di diamanti, il loro battere incessante a terra ha creato un vero e proprio genere musicale: il “gumboot zydeco”. Anche perché, essendo obbligati al silenzio, i minatori comunicavano con una specie di codice Morse degli attrezzi da lavoro, colpi di stivali compresi. L’insieme di suoni divenne col tempo una vera e propria musica d’intrattenimento e lo stivale venne introdotto nelle danze popolari. Paul Simon, nel celeberrimo album Graceland del 1986, registrato in gran parte in Sud Africa, dedica una canzone ai Wellington.
Ma non è finita, in Scozia, il comico Billy Connolly ha scritto “Welley Boot song”, la sua più celebre canzone. Altri sono gli esempi di quanto questi stivali di gomma siano d’ispirazione per gli artisti. La band Gaelic Storm usa il battito dei Wellington nell’album “Wellies Yer” con la quasi omonima canzone “Wellies Kelly”. Tra il 1994 e il 1996, la BBC1 creò una serie televisiva, “William desires”, dove un paio di Wellington rossi potevano esaudire ogni desiderio del protgonista. In Danimarca gli Alphabeat ‘s pubblicarono nel 2007 un album contenente una canzone chiamata “Rubber Boots / Mackintosh” con chiari riferimenti all’uso dei preservativi (“indossate sempre gomma”). In Gran Bretagna esiste persino uno sport, il wellie wanging, che consiste nel lanciare lo stivale il più lontano possibile.
Come sceglierli e indossarli
Importante, nella scelta di tutti gli stivali e scarpe, è prestare attenzione alle cuciture o alle colle usate per incollare la tomaia alla suola. Se sono di qualità non dovreste incorrere nello spiacevole distaccamento della punta o del tacco. A seconda degli usi che ne volete fare controllate sempre la suola, che sia di materiale plastico e antiscivolo. Sarebbe infatti assurdo comprare degli stivali da pioggia con la suola liscia. Ricordatevi che il modello tradizionale non prevede imbottitura, quindi verificate di non essere allergiche alla gomma e che dovrete investire comunque un po’ di denaro in calze e calzini. Come indossarli. Nel Regno Unito sono un’istituzione, ma anche le donne del resto del mondo usano i Wellington Hunter come stivali di moda. Se volete ricalcare il look british indossateli sotto a pantaloni o jeans, trench beige e abbinate sciarpe, foulard a quadretti. Non a caso Burberry ha ricoperto con i suoi famosi quadretti anche la plastica dei Wellington (da abbinare alle celebri sciarpe).
Tuttavia i Wellington sono anche molto rock. Quindi, se non siete freddolose vanno benissimo con shorts di jeans tagliati a vivo, t-shirt e canotte da uomo magari abbinati a un giubbotto o giacchetta di pelle. Se volete esagerare, indossate anche qualche accessorio borchiato. Non vi sono solo le dame inglesi di campagna e le rocker maledette che usano i Wellington, un altro stile molto diffuso è quello da cavallerizza. Pantaloni color beige infilati dentro agli stivali, meglio se in versione di pelle, camicia bianca o dolcevita dello stesso colore con sopra una giacca sciancrata nera. E sarete delle perfette amazzoni di città.
Le gonne, se non cortissime, sono bandite dall’impiego dei Wellington. Inoltre, avendo una forma molto “country” non vanno per niente bene nelle occasioni formali e per l’ufficio. Insomma, al mattino se non dovete andare a potare le rose in giardino o a fare un giro di shopping, oppure se il vostro complesso preferito non si esibisce in città, lasciateli nella scarpiera. Sotto alla scrivania stanno male (e spesso dopo molte ore fanno anche male). Una buona notizia: sono stivali che stanno bene anche alle donne con gambe robuste, perché se sagomati danno loro una forma, inoltre, l’imboccatura è spesso regolabile da un elastico che si adatta a qualsiasi “spessore” dell’arto.