Si indicano con questo nome le fibre create artificialmente. Oggi il termine ha preso ad indicare in via generale ciò che anticamente era identificato distinguendo tra fibre artificiali (che venivano trattate e modificate usando dei reagenti) e fibre sintetiche (create ex novo con molecole ottenute per sintesi).
Queste sono le più recenti per sperimentazione (si parla degli anni Trenta e Quaranta), e vengono realizzate a partire da materiali di natura organica che sono poi polimerizzate chimicamente in laboratorio. I polimeri così realizzati sono stati poi alla base delle materie plastiche, non fibrose e utilizzate per le resine sintetiche che vengono realizzate in serie a partire da materie derivanti da composti petroliferi.
Le proprietà meccaniche variano in base al reagente utilizzato, e le fibre resistono bene a mutazioni biologiche e atmosferiche. Gli inconvenienti sono la non biodegradabilità e il fatto di essere create sinteticamente, quindi non potendone prevedere la reazione. È peraltro da sottolineare che proprio perché costruite in laboratorio utilizzando dei coloranti, le resine come le fibre sintetiche possono provocare allergie. Inoltre non possono nemmeno essere impiegate per il vestiario quelle fibre che, se a contatto col fuoco bruciano a fiamma viva, in quanto provocherebbero gravi ustioni. A tali inconvenienti la moderna tecnologia ha trovato una soluzione, e infatti sono state progettate delle fibre ipoallergeniche e ignifughe con le quali vengono prodotti pannolini e indumenti.
In base alla reazione con il calore, le resine sintetiche si classificano in:
-Termoplastiche
Fanno parte di questa categoria quasi tutte le fibre sintetiche. Rappresenta quei materiali la cui struttura è caratterizzata da una catena unitaria di macromolecole, che consente di modificare più volte l’elemento rendendolo plastico e idoneo per la lavorazione a caldo senza cambiarne definitivamente la struttura molecolare.
-Termoindurenti
La struttura molecolare assume forma tridimensionale e una volta sottoposti a lavorazioni plastiche o con fonti di calore non è più possibile riportarli allo stato originario.
Le fibre sintetiche vengono create raggruppando più micromolecole (o monomeri) di sostanze organiche. Le unità possono essere accostate in modo tale da reagire fra di loro (in questo caso si parla di omopolimeri), oppure senza giovarsi di questa caratteristica (copolimeri).
Tale processo di polimerizzazione può differenziarsi a seconda del tipo di concatenazione che i monomeri assumono: avremo quindi la polimerizzazione per poliaddizione se le micromolecole si uniscono senza determinare una perdita di peso o di atomi, viceversa avremo la polimerizzazione per policondensazione. I diversi tipi di polimeri che stanno alla base delle fibre sintetiche ne consentono di conseguenza la suddivisione in “famiglie”.
La classificazione in polimeri di poliaddizione e polimeri di policondensazione si deve al chimico statunitense Carothers, che la suggerì nel 1929. Ancora oggi, nonostante le problematicità di ricondurre a due sole categorie la varietà di meccanismi di formazione dei polimeri, tale classificazione è utilizzata restringendo tuttavia l’ambito di applicazione: in particolare i poliaddotti si riferiscono a un procedimento di poliaddizione di monomeri di vinile o diolefine, invece i policondensati raggruppano gli altri prodotti ottenuti mediante policondensazione formati non solo da atomi di carbonio, ma anche da altri come l’ossigeno o azoto.